The same old story...


Altro giro, altra corsa, altra soluzione sbagliata. Che il Financial Fair Play varato ormai anni fa dall'Uefa abbia sostanzialmente mancato tutti gli obiettivi per cui era stato ideato è ormai palese a tutti e quindi, una (contro)riforma, era più che necessaria. Il problema però, è che ancora una volta le idee messe in campo vanno in direzione esattamente opposta rispetto a quella che (almeno a parole) si vorrebbe seguire. Perché un conto è abbassare i costi (giustissimo), ma un altro (e questo dovrebbe essere lo scopo di chi ha a cuore lo sport) è garantire più o meno a tutti la possibilità di competere per vincere.

Quanto deciso in Primavera dal Comitato Esecutivo dell'Uefa invece, non fa altro che confermare lo status quo. Quello per cui, come sempre e salvo rarissime eccezioni, soltanto chi ha (tantissimi) soldi può pensare di competere ai massimi livelli. Anzi. A dirla tutta, proprio come accadeva col “vecchio” FFP, le nuove regole non fanno altro che aumentare il divario tra “ricchi” e “poveri”.

Il riferimento è in particolare al nuovo “Salary Cup”. La più grande innovazione è la regola sui costi di squadra, per migliorarne il controllo in relazione agli stipendi dei giocatori e alle spese di trasferimento", ha detto felice il presidente dell'Uefa Alexander Ceferin. Prima di tutto secondo il nuovo regolamento ogni club potrà riportare perdite per 60 milioni di euro in tre anni rispetto ai 30 milioni precedenti, cifra che potrà salire fino a 90 milioni per un club "in buona salute finanziaria". Un allenamento che però, secondo l'Uefa, sarà bilanciato dai nuovi massimali sui salari. Ma è davvero così? Non proprio. Perché il “tetto agli ingaggi” fosse davvero efficace, dovrebbe essere effettivo. Reale. Dovrebbe, per intendersi, imporre un massimo di spesa (uguale per tutti) oltre il quale non si può andare. Un po' come accade in Nba, tanto per intendersi.

lIl problema è che in Europa, per via di alcune leggi dell'UE e di alcuni Paesi, questo non è possibile. E così ecco la (non) soluzione: club dovranno limitare la spesa per stipendi di giocatori e personale, per i trasferimenti e per gli agenti al 70% delle entrate totali entro la stagione 2025/26. Ci sarà quindi un approccio graduale della normativa, che entrerà in vigore da giugno, con il tetto che scenderà alla scadenza dei contratti attuali, in media di durata triennale: il 90% delle entrate del club nel 2023/24, l'80% nella stagione successiva per arrivare al 70% una volta giunti a pieno regime.

Si torna sempre lì. Se il parametro di fondo resta il fatturato chi ha di più, potrà spendere di più. I club con fatturati più bassi invece, per non violare il nuovo regolamento, saranno costretti a spendere sempre di meno. E così torniamo al punto di partenza. Quanto deciso può servire (forse) a contenere i costi (il che è sicuramente un bene visto il momento di crisi) ma certo non stimola la competizione. Al contrario. La soffoca. E così, pur dicendosi tutti assolutamente contrari, si da vita (di fatto) alla tanto criticata Superlega. Pochi, ricchissimi club a contendersi coppe, trionfi e conseguenti introiti e tutti gli altri, fino a quando ce la faranno, ridotti a semplici partecipanti.

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