Piatto poco ricco...mi ci ficco


Lunga è la strada per riportare il calcio italiano ai tempi che furono. E non è (solo) una questione di risultati. Certo, il campo è sempre specchio fedele dello stato stato di salute di un movimento e quanto succede (da anni) nelle coppe europee non è altro che la conferma di quanto il nostro pallone sia...sgonfio. Basta pensare a quanto successo in questa stagione tra Champions ed Europa League, dove il miglior risultato è stato fatto segnare dall'Atalanta che (eliminata ai gironi di Champions) in Europa League è arrivata fino ai quarti, prima di essere eliminata dal Lipsia. Prima della Dea invece era uscita la Lazio, mentre Juventus ed Inter si erano fermate negli ottavi di Champions League. E' rimasta la Roma, è vero, che il prossimo 25 maggio si giocherà (contro il Feyenoord) la Conference League. Una (piccolissima) buona notizia e, si spera, un timido segnale di ripresa nel bel mezzo di una crisi (e non vogliamo soffermarci sulla Nazionale, esclusa per la seconda volta consecutiva da un mondiale) che non sembra conoscere fine. Ma i risultati, si sa, non dicono tutto. Perché dipendono da mille fattori e (spesso) sono anche frutto del caso. Un rigore dato o non dato, un palo. Basta un niente insomma, perché il verdetto possa cambiare. Per questo, cercando di capire quale sia il (reale) valore del calcio italiano, conviene sfruttare un altro parametro: il mercato. Non quello dei giocatori (i più forti comunque stanno altrove), ma quello dei club.

E' di questi giorni, per esempio, la notizia della cessione del Chelsea da Abramovich al consorzio statunitense guidato da Todd Boehly (che già detiene il 20% dei Los Angeles Dodgers, storica franchigia della Major League di baseball, e quote dei Los Angeles Lakers della Nba) per una cifra che si aggira attorno ai cinque miliardi di euro. Parallelamente, in Italia, sta andando avanti la trattativa per il passaggio di proprietà del Milan. In ballo ci sono due possibili acquirenti: il fondo del Bahrain Investcorp, e gli americani di RedBird. Una partita apertissima, stando alle voci di queste ore, e che poggia le basi su numeri decisamente diversi rispetto a quelli citati per la cessione del Chelsea. Sul piatto infatti, ci sono due offerte: Investcorp avrebbe proposto (circa) 1,18 miliardi, mentre il fondo Usa si “fermerebbe” ad un milardo. La scelta dovrebbe arrivare a breve ma quel che ci preme sottolineare è la clamorosa differenza delle cifre. Da un lato i circa 5 miliardi di valutazione del Chelsea, dall'altro il valore del Milan stimato (appunto) in un miliardo. In pratica, uno dei top club della Premier, vale cinque volte quello che in questo momento è primo in classifica in Serie A, è secondo soltanto alla Juventus per numeri sui social network ma che a livello internazionale, come brand, vanta “parziali” migliori di tutti gli altri club italiani. Non basta? Di recente Enrico Preziosi ha ceduto il Genoa e la valutazione del club si aggirerebbe attorno ai 150 milioni di euro. Bene. Qualche mese fa sempre in Inghilterra, il fondo arabo PIF ha acquistato il Newcastle per (circa) 350 milioni. Anche in questo caso, da un punto di vista “tecnico” parliamo di club simili. Lo dicono le classifiche: il Genoa nel 2020/2021 si è piazzato all'11mo posto in Serie A mentre il Newcastle, in Premier, è arrivato 12mo.

Insomma, se il campo a volte può mentire, difficilmente chi decide di investire miliardi lo fa senza un'attentissima e accuratissima valutazione. E i fatti appena citati dimostrano quanto il nostro movimento (in tutti i suoi aspetti) sia lontano (anzi, lontanissimo) dal tornare al vertice. Eppure, non tutti i mali vengono per nuocere. Lo stato di salute così difficile del calcio italiano infatti, è uno dei motivi per cui si sta dimostrando particolarmente appetibile. Non a caso, in Serie A (ma non solo) stanno sbarcando una dietro l'altra proprietà straniere e, soprattutto, americane. Milan, Inter, Roma, Fiorentina, Bologna, Venezia, Atalanta, Spezia, Parma, a breve Palermo. Il pallone è “sgonfio”, come dicevamo in apertura e, quindi, costa molto meno che altrove. Non solo. Partire dal basso infatti, significa avere enormi margini di crescita. Per non parlare di città che (e in questo il nostro Paese offre opportunità e bellezze difficilmente pareggiabili) rappresentano una straordinaria “occasione di marketing”. L'importante, è fare scelte (ed investimenti) giusti, sperando che anche a livello politico si esca dall'eterna guerra di cortile per entrare finalmente in una fase di riforme.

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